29 gennaio 2011

Mobilitazione

lavoro beneIeri, 28 gennaio 2011, è stata una bella giornata per chi crede si renda necessario un cambiamento delle politiche economiche e sociali nel nostro Paese: un giusto, quanto doveroso, ripensamento sulla globalizzazione intesa e praticata unicamente come una sorta di mercificazione della vita della persone. Il mercato, le leggi della domanda che diventa il regolatore  dei bisogni, dei diritti, delle aspettative. Da anni anche in Italia, come nel resto del mondo, il governo del paese, sottomesso alle logiche della finanza, dei grandi poteri economici, ci impone questo modello. Un modello che fà a pezzi

le grandi conquiste sociali del secolo appena trascorso : l’intero stato sociale, la pensione, l’assistenza sanitaria, il diritto allo studio, il diritto ad un lavoro dignitoso, la rappresentanza. Le libertà costituenti, i diritti soggettivi, le regole della democrazia devono essere piegati al profitto. Al mercato che impone cambiamenti sociali al ribasso in una logica di continuo arretramento collettivo e senza una fine. Sfruttato un Paese, un territorio, una fabbrica, fino allo sfinimento, ci si sposta su di un altro che garantisce condizioni ancora migliori per il profitto. Ancora più gravose per il popolo. In questi mesi, in Italia, la rappresentazione pratica di questa politica è incarnata dalla Fiat, dalla spavalda arroganza di Marchionne. A cui la grande maggioranza del sistema economico, politico e sindacale italiano si è inchinata. A cominciare dal governo e da quella componente, la Lega, che in tempi non lontani, all’inizio della crisi, si professava contro la globalizzazione e si proponeva (o meglio si propone ancora) come baluardo del popolo padano a difesa delle sue dannose conseguenze. Ebbene la vicenda Mirafiori è stata una lezione. Deve essere una lezione per i lavoratori, per i cittadini che vogliono continuare ad essere un popolo dalla schiena dritta. Che hanno ereditato una democrazia avanzata, civile, solidale, frutto di conquiste, di lotte e di sacrifici fatti dalle precedenti generazioni e vogliono poterla consegnare ancora integra ai propri figli e nipoti. Mirafiori è la scelta del potere economico e politico di dare priorità al profitto, agli investimenti dell’impresa, all’eventuale, precario, lavoro che ne consegue e solo dopo, in un ruolo subalterno, riconoscere il diritto, la dignità ed il valore del lavoro. Per far questo si usano anche i lavoratori, costretti sotto ricatto a pronunciarsi. E anche una parte di chi li deve rappresentare, proteggere per mestiere, il sindacato, li lascia soli. Soli davanti al padrone, davanti al capitale. E’ questa la globalizzazione, oggi, per noi operai. La storia che riporta indietro le lancette dell’orologio di trenta, quaranta anni. In nome della modernità! Ma la storia ci insegna che dove si lavora non c’è solo rassegnazione, sacrificio, umiltà. Di fronte a evidenti, quanto disonoranti, torti, c’è anche ribellione. Il coraggio di dire no. La metà dei lavoratori di Mirafiori ce lo ha ricordato. Da questo no, nell’attuale contesto mediatico che ha reso temporaneamente visibile il lavoro, dobbiamo ripartire. Ricostruire la nostra identità, la nostra idea di società. Alternativa alle attuali, nefaste logiche della globalizzazione economica. E allora gli scioperi, le piazze della Fiom e di chi ha voluto e saputo, in questi anni, stare dalla parte dei lavoratori, dei cittadini liberi, della democrazia e dei diritti, devono essere strumento di protesta ma anche di riconquista. Torniamo a sentirci e proporci come parte attiva nelle scelte del nostro Paese, torniamo a pretendere di contare. In questo contesto storico dobbiamo, è un obbligo morale, fare una scelta di campo. Gli operai devono scegliere se vogliono ancora essere rappresentati, e quale modello di società vogliono contribuire a costruire. Il sindacato e la politica devono fare la loro scelta. Rappresentare il mondo del lavoro, le faticosa ma reale, vita quotidiana dei cittadini ed  i loro bisogni, le loro aspettative; o invece, rappresentare i desideri del potere, del profitto. Pertanto la giornata di ieri, con la mobilitazione di centinaia di migliaia di persone, è da considerare come l’inizio di un percorso politico e sociale alternativo. Rivoluzionario. Dispiace solo constatare che anche i giornali della cosidetta sinistra non ne hanno dato il dovuto risalto.       

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