15 gennaio 2011

Grazie operai di Mirafiori

Si è concluso il referendum alla Fiat di Mirafiori con la vittoria del sì alle nuove condizioni di lavoro volute da Marchionne. Una vittoria solo numerica e, inaspettatamente molto risicata. Il 46% dei lavoratori dello stabilimento ha saputo dire di no. Praticamente  metà degli operai, al netto degli impiegati, hanno detto NO. Pertanto per Marchionne e per tutti i sostenitori del sì, a partire dal Governo, una evidente sconfitta politica se si considera il contesto
con cui i lavoratori sono stati costretti a pronunciarsi. Un “cambiamento epocale” della relazioni  industriali e sindacali che, di fatto, ai diretti interessati, viene imposto. Senza consenso.
Probabilmente, dal punto di vista mediatico, oggi si chiude il sipario. La grande attenzione data alla vicenda, spesso in maniera strumentale, da oggi sfumerà fino a scomparire. Così come, da anni, si cerca di far sparire la presenza degli operai, il lavoro degli operai, la storia ed il valore universale del movimento operaio. Il contributo che gli operai hanno dato e continuano a dare al nostro Paese.
Ovviamente, per noi, dentro le fabbriche, non sarà così. Da oggi nulla sarà come prima. Le conseguenze negative di questo “nuovo” modo di concepire le relazioni sindacali, di svuotare di diritti e di valore il lavoro operaio, di ridimensionare le libertà individuali in fabbrica, si faranno sentire.
Nulla, però, deve considerarsi perduto. Il risultato di un voto illegittimo, imposto su contenuti indisponibili al giudizio vincolante del singolo lavoratore e tantomeno a disposizione, come merce di scambio, di sindacati indegni di questo nome, non può considerarsi valido.
Qualunque fosse stato l’esito di questo referendum, il lavoro, il valore della dignità del lavoro, oggi viene pesantemente messo in discussione. E’ solo l’inizio di una parabola già malamente scritta. E’ il tentativo di mettere sulla carta e pertanto di rendere esigibile per l’impresa, il frutto di quel cambiamento culturale che ha investito, svuotandola di dignità, la nostra società e quindi il mondo del lavoro.
Lavoro e capitale non più sullo stesso piano. Nella nuova concezione di società, il lavoro è funzionale al capitale. Non ha più un suo valore intrinseco. Il lavoro non è ripettabile di suo, è utile solo se al servizio e alle condizioni poste dal capitale.
La vicenda Mirafiori ha dimostrato che mai come oggi il lavoratore, l’operaio, è solo. Lasciato solo, nel braccio di ferro con l’impresa, dalle istituzioni, dalla politica, da una parte dello stesso sindacato. Solo a decidere il destino di una fabbrica, di nuove relazioni industriali, di diritti e libertà individuali. Solo a decidere il destino industriale del Paese! Senza volto, senza voce ma all’occasione, spegiudicatamente, caricato da una enorme responsabilità che non può essere sua. 
Per noi operai oggi può e deve essere un nuovo inizio. Mirafiori deve essere una lezione per una rinascita, un risveglio del movimento operaio. Il 50% degli operai che hanno disperatamente gridato il loro no, dimostra che rimane ancora viva, nelle fabbriche, l’esigenza di maggior rispetto, di un doveroso riconoscimento al lavoro. Il diritto e l’orgoglio di cittadinanza dell’operaio.   
E allora, per uscirne degnamente da questa condizione, nelle fabbriche, in tutte le fabbriche, si deve ritornare a parlare, discutere, lavorare per riappropriarsi o riconoscersi in quella cultura operaia fatta di sacrificio ma anche di onestà, fierezza, solidarietà che ha distinto i luoghi di lavoro per decenni in Italia. La classe operaia. Coniugata al giorno d’oggi, contaminata dalla vitalità dei giovani d’oggi, in un contesto, la fabbrica, diverso dal passato ma che sà, deve sapere, ancora esprimere i bisogni di tutti, il senso di appartenenza, la voglia di partecipare.
E’ un impegno che deve riguardare tutto il mondo del lavoro, senza distinzioni. Un compito rivolto a tutti gli operai, tutti i delegati sindacali che vivono in fabbrica, tutti i rappresentanti sindacali e politici che vogliono realmente conoscere e rappresentare il lavoro e la condizione di chi lavora. Attraverso le diverse forme che possono contribuire a tornare a farci sentire attivi. Nelle fabbriche, nel territorio. Con la protesta, con gli scioperi, con la politica. Con convinzione e con tenacia, consapevoli che è una nostra nuova identità che dobbiamo ritrovare. Di cui dobbiamo riappropriarci.
In gioco è il nostro destino, quello dei nostri figli. La nostra dignità, la voglia di non chinare la testa di fronte al padrone di turno…    

1 commento:

Aries 51 ha detto...

Giusto. Vero e giusto quello che scrivi. Permettimi di dire anche che questo ricatto infame, perchè per me solo di questo si tratta, è stato avvallato e benedetto da quello che devo mio malgrado chiamare governo con l' appoggio di buona parte della cricca che continuiamo a chiamare opposizione. In aperta violazione di almeno 3 o 4 articoli del Codice Civile. Spero che gli Operai ricordino. Che abbiano buona memoria. E che, come hai detto tu, si facciano sentire,con convinzione e con tenacia. Permettimi anche un saluto virtuale. A tutti gli Operai che, per paura di perdere il posto di lavoro e quel magro stipendio che mantiene le loro famiglie, hanno votato per il si. Ciao Severo.

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